
Sembra che non voglia davvero cadere il super satellite della Nasa che da qualche giorno sta facendo parlare di sè perché alcuni dei suoi pezzi potrebbero raggiungere il suolo. Inizialmente sembrava che fosse destinato a toccare gli strati più densi dell’atmosfera terrestre attorno alle 3 di questa notte, quando si sarebbe trovato a volare sopra il Pacifico. I dati reali mostrano però che l’altezza di Upper Atmosphere Research Satellite (UARS) non sta diminuendo come previsto dai modelli matematici. Le nuove previsioni posizionano il rientro attorno alle 3:16 04:04 tempo universale (le 5:16 06:04 in Svizzera) sopra l’Africa centrale l’Oceano Pacifico. L’incertezza è però di più o meno cinque ore. Se fino ad ora il principale fattore ad influire sull’orbitra del satellite era l’influsso dell’attività solare, che cambiando di ora in ora introduceva una variabile d’imprevedibilità nell’equazione. Per gli esperti, tuttavia, il ritardo con cui UARS si sta avvicinando all’appuntamento con il suo destino sarebbe spiegabile anche con la variazione del suo assetto.

L'Upper Atmosphere Research Satellite (UARS) ripreso mentre sta per essere messo in orbita durante la missione Shuttle STS-48 (NASA)
“L’attività solare non è più il principale fattore che influenza il rateo di discesa del satellite – fa sapere la Nasa –. A quanto pare l’orientamento del satellite è cambiato cosa che sta rallentando la sua discesa”. Senza carburante per controllare i suoi movimenti, l’Upper Atmosphere Research Satellite – un parallelepipedo dalle dimensioni di un bus di linea – è alla deriva. A dipendenza della sua posizione rispetto alla direzione di marcia, l’attrito con l’atmosfera rarefatta presente a 150 chilometri di quota produce più o meno resistenza e di conseguenza accorcia o allunga il suo rientro. “I venti contrari rallentano la corsa del satellite e lo fanno rientrare prima nell’atmosfera” dichiara a Space.com l’astrofisico dell’università di Harvard Johnathan McDowel, aggiungendo che probabilmente il satellite è orientato in modo da offrire meno resistenza all’aria.
La Nasa, che sino a giovedì notte dava praticamente per impossibile che pezzi del satellite potessero cadere sul suolo degli Stati Uniti, è stata costretta a rivedere le proprie previsioni. Allo stato attuale l’agenzia spaziale statunitense non può più escludere che uno dei 26 pezzi che si prevede non bruceranno completamente finisca su suolo americano. “La probabilità è bassa – fa sapere la Nasa – ma visto il rallentamento nella discesa, non è impossibile”.
Fra le 26 componenti che dovrebbero raggiungere la superficie terrestre figurano fra l’altro tre batterie, quattro cerchioni e quattro serbatoi di carburante, per un totale di 532,38 chili. Il più massiccio – che dovrebbe attraversare l’aria senza perdere massa – pesa 158 chili, mentre la maggiore velocità al momento dell’impatto sarà raggiunta dai quattro cerchioni, che si schianteranno a 107 metri al secondo (385 chilometri orari). Gli altri pezzi toccheranno il suolo con velocità tra i 14 e i 79 metri al secondo. “Teoricamente è possibile evitare scansarsi” osserva Richard Crowhter dell’agenzia spaziale britannica in una intervista concessa alla BBC. “Ma – prosegue – se si va in giro continuando a guardare per aria è decisamente più probabile farsi male perché si inciampa che a causa di qualcosa che cade dal cielo”. Se ci si vuole mettere davvero al sicuro, l’unica soluzione è quella di spostarsi oltre i 57 gradi di latitudine (sia a nord che a sud), punti del pianeta non sorvolati dall’UARS. “Ma viaggiare sino a lì comporterebbe statisticamente un rischio maggiore che essere colpiti da un pezzo di satellite”, scherza Crowhter.
Sino ad ora, ricorda la BBC, l’unica persona nota ad essere stata centrata da un detrito spaziale è una cittadina dell’Oklahoma, tale Lottie Williams, che nel 1997 fu colpita da un pezzo di un razzo Delta II delle dimensioni di 10 per 13 centimetri, pesante come una lattina per bibite. Non riportò ferite.